domenica 29 maggio 2022

Imprenditore presso me stesso

 La prossima volta che prendete in giro qualcuno che nel proprio profilo social o nel necrologio, ha scritto "imprenditore presso me stesso", pensate al dottor Gianluca Vacchi. 

Alla fine non ho resistito. Confessando la mia ignoranza, sono andato a cercare chi fosse, scartando la Treccani e aprendo Google.
In sintesi, credo avere acquisito gli elementi che vi riporto di seguito (tutto rigorosamente copia-incollato).
Benestante di famiglia.
Il padre ha fondato a suo tempo una società che oggi fattura un miliardo di euro (produzione confezioni per aziende alimentari farmaceutiche, ecc.).
I soldi li fa l'azienda creata dal padre.
Lui (Gianluca) è laureato in economia e commercio (dove? quando? voto?), però la carica di amministratore delegato dell'azienda ce l'ha il fratello (quello bravo?).
Lui (Gianluca) ha il 30 per cento delle azioni della ditta di famiglia. Quindi non deve fare altro.
Curriculum: non è solo imprenditore (??), ma deejay, avendo pubblicato una (una) canzone. Pubblica video su Instagram.
Attività imprenditoriali:  con i soldi che arrivano dall'azienda creata dal padre e amministrata dal fratello (quello bravo?), ha acquistato un'azienda di mini computer, comprato azioni di aziende di moda; possiede una società che vende e acquista altre aziende (sic!).
Ultimo recente progetto imprenditoriale: cinque punti vendita di kebab.
L'acume finanziario dell'imprenditore si denota nei fugaci riferimenti ai numerosi pignoramenti, come quello da dieci milioni di euro, da parte della banca popolare di Milano. per mancato rimborso di finanziamento (non ha pagato le rate?).
Tanto paga babbo.
Così ero imprenditore anche io.

giovedì 26 maggio 2022

Sere d'influenza

Le sere più insidiose 
sono quelle in cui inizi a pensare 
alle persone che non vedi da tempo. 

Quando poi ti ritrovi 
a dividerle in due categorie:
quelle che potrai ritrovare 
e quelle che sai che non potrai più rivedere.

Prometti al telecomando dell'auto 
che le cercherai.
Giuri alla serratura del portone 
che le chiamerai.

E cerchi di richiudere in fretta, perché l'ansia 
vada a sbattere contro il vetro.   

mercoledì 18 maggio 2022

Frecciarossa mille

 

Frecciarossa 


Prefazione 

Certe volte vorrei che le Ferrovie dello Stato,
sui loro treni, facessero mettere una presa speciale
per ogni sedile.
Ma non di quelle che già ci sono, con cui si ricaricano
i cellulari.
Proprio un punto a cui attaccare uno spinotto 
con un cavo abbastanza lungo che,
se due persone lo desiderano, 
colleghi le loro storie.
Così che ognuno, nel tempo di un viaggio, 
possa conoscere una parte dell'altro.
Allora, certo, sarebbero viaggi bellissimi.


I
Passo primo. La curiosità.
La vanità narcisa.
Tiro fuori il mio Moleskine con la copertina nera. 
La matita invece, oggi è color arancio, per puro caso,
anzi, per un fatto del tutto accidentale.

Niente prese di corrente a fianco del mio sedile
e mi vergogno, alla mia età, 
di allungare le mani sotto il tavolino.

Misuro con ansia nascosta,
fingo indifferenza nei movimenti,
con la speranza che non veda 
i bottoni della camicia strapazzata, 
che soffrono lo strazio della mia 
pancetta.


II
Passo secondo. Tutto inutile.
Penso a ogni particolare che possa svelarmi
per quello che sono, 
o peggio, per quello che non sono.
Potrei raccontarle che l'ho conosciuta, Circe,
ma perché dovrebbe credere questo?


III
E se fosse una sfida?
Una gara sanguinaria. 
Una lotta all'ultimo sguardo non dato.
Un gioco che ho imparato da solo, 
senza nessun maestro.
Fin da piccolo, non abbassavo lo sguardo.
Semplicemente lo distoglievo.

Ecco, potrei tenere gli occhi chiusi, immobile,
a lasciarmi guardare, senza che l'altro provi remore, 
e che, anzi, possa scrostare i miei strati,
senza che nessuno si accorga.


IV
Ogni volta che viaggio in treno, di sera,
guardo il riflesso delle cabine, 
illuminate dalle luci al neon, 
sul vetro già oscurato dal tramonto.
E quasi sempre ci vedo quella tua foto
impressa sul finestrino.
I tratti del tuo viso trasparente 
che pareva perdersi fuori.
Negando a me stesso, che andasse alla ricerca di me.
Così lontano, allora.













 

























domenica 8 maggio 2022

I giorni della guerra

La mia Anima.
Non so neppure se ancora esista.
Ne percepisco il respiro
dilaniato e fatto a brandelli.

Forse, un giorno, potrò ritrovarne
il cadavere.
Come si fa con quei resti martoriati,
che qualcuno riconosce dall'esame
del DNA. 

Così, ogni mattina si ripete.
Ogni sorgere del giorno 
si ripresenta a me, spietata, 
quella sensazione che mi strazia.


venerdì 6 maggio 2022

Nero (re-edit 2015 2022)

 

(Prima pubblicazione venerdì 18 settembre 2015) (re-edit 06 maggio 2022)

nero





Qualcuno dovrebbe iniziare a dirla. Qualcuno dovrebbe iniziare a raccontarla, la storia  di  quella grande costruzione, emersa nel punto in qui sparisce la nebbia della pianura. Al confine tra i possedimenti di Lord Piercy e le paludi delle zanzare. Punto di passaggio tra le ultime chiudende del Marghine e i resti dei terreni che furono dei vescovi, sterminati dalla malaria.
Mio fratello più piccolo sostiene che a nessuno, ormai, possa interessare la storia di quella stazione ferroviaria a scartamento ridotto. Lui ritiene che non ci siano più le anime libere, disposte a sentire l'emozione di quella signora magra e alta. È convinto che ci sia in giro alcuno capace di ascoltare le sensazioni di un ragazzino
Mio fratello più piccolo crede che nessuno voglia conoscere chi sia stata e cosa sia, ora, quella donna vestita di nero.
Si, perché da noi, ogni mistero è vestito di nero. Ogni storia che si nasconde dietro a una sconosciuta, dev'essere una storia che non può avere altro colore, se non quello del lutto. Al più, talvolta, si può aggiungere il rosso vinoso del sangue dei Miserabili. Raramente quello più vivo dei nobili decaduti, delle maestrine romantiche o del generale Lutzu di Borore.
Eppure ci sarà un motivo se per lui, mio fratello più piccolo,  quella stazione a scartamento ridotto, oggi non è fatta di binari, né di vecchi vagoni di legno pitturato trenta volte di grigio. Ci sarà un insegnamento, come dice la mia maestra di San Vero, se fra tutti i suoi ricordi di ragazzino, lui racconta ancora di quella signora alta. Alta come lo sono tutte le donne, agli occhi di un dodicenne. Forte, come lo sono tutte le donne agli occhi dei cinquantenni. 
Lui, mio fratello più piccolo, di quella stazione cerca, inutilmente, l'unica cosa che sa di non trovare. Muri scoloriti e intonaci scrostati. Doppie porte scardinate e senza neppure più voglia di cigolare. Ogni cosa è ancora al suo posto. Come i soliti vecchi delle piazzette di paese. Quelli che ritrovi al solito posto, soltanto più decrepiti. Lui, mio fratello più piccolo, cerca inutilmente quel telefono, inchiodato al muro della porta del capostazione. Troppo in alto per un dodicenne.
E anche se non lo ammette, penserà che è un vero peccato non trovarlo ancora appeso. Adesso che ha l'età e l'altezza giusta, per guardare da vicino e toccare quel telefono. Nero. Come gli abiti della signora che aspettava i treni.
Scomparso anche lui, senza avere potuto far sentire la sua voce. Senza avere raccontato quella storia.