(Prima pubblicazione martedì 9 aprile 2019)
cagliari (ich bin ein...)
Lo so che non è politicamente corretto e neppure elegante. Non si dovrebbero citare le tragedie per costruire un percorso che porta alla commedia, o meglio al sarcasmo, alla risata a desti stretti.
Però volevo ricordare un momento della Storia molto importante.
Ogni volta che mettiamo un cartello con scritto "io sto con i pastori sardi", "io sono charlie", "siamo tutti parigini", in realtà stiamo solo copiando. Con il migliore degli intenti, stiamo copiando colui che fu il primo, il padre fondatore, l'illuminato creatore dell'empatia politica. Colui che un giorno di giugno del 1963, arrivò dentro una città miseramente dilaniata in due monconi. L'avevano fatto come si fa oggi quando si vuole portare via una ragazza appena uccisa, ma si hanno solo valigie piccole.
Una grande linea tracciata rabbiosamente attraverso i quartieri, come fatta con una matita H, che non lascia solo il segno nero, ma trafigge la carta, scavandone un solco che la taglia quasi fino a farne uscire il sangue, se la cellulosa avesse i globuli rossi.
Nessuno di noi è nato o cresciuto a Berlino, come non lo erano i milioni di persone che più di cinquant'anni fa poterono ascoltare e leggere le parole profetiche di quel presidente americano. E probabilmente nessuno avrebbe voluto viverci a Berlino, scambiando la propria tranquilla esistenza senza Muro. Solidarietà e affetto sono talvolta immateriali e convenienti, eppure importantissimi, come lo furono allora.
Ho pensato ai poveri cittadini Berlinesi dell'estate del 1963; vittime dell'arroganza, del cinismo, dell'illusoria propaganda politica. Prigionieri di un destino fatto di parole d'ordine, di nemici dall'altra parte del mare, di autarchia, che sarebbero finiti negli anni '80 con la fame di pane, di corrente elettrica e perfino di riscaldamento negli inverni del nord Europa.
Anche io potrei fare un discorso visionario, nel mio piccolo. Vorrei fermarmi nel punto in cui viale Regina Margherita si slarga per posarsi sulle gradinate che illuminano via Roma e il primo scorcio di porto.
Pensando ai congiuntivi sbilenchi, alle subordinate inesistenti, ai verbi coniugati a sputo. Rimuovendo plastica, bellezza da vendere, pecore da selfie. Guarderei con nostalgia infinita il portone di legno e le colonne in calcestruzzo che furono l'ingresso del Cinema Due Palme, finito negli anni settanta proiettando film per adulti.
Probabilmente riuscirei a capire l'emozione che fu di John Fitzgerald Kennedy per la città di Berlino, nel vederla sfregiata e immiserita.
E infine troverei il modo di manifestare i miei sentimenti di addolorata solidarietà, per quel muro senza mattoni, fatto di frasi sconnesse, verbi umiliati, concetti da Bitter Campari, assessori da Sambuca Molinari.
Solo allora avrei il coraggio di dirlo ai cittadini del capo di sotto: "Io sono cagliaritano".

Nessun commento:
Posta un commento