Mi sono fermato davanti alla bancarella di un filippino. Vendeva ogni genere
di gadget iper tecnologico. Mi ha attratto una sorta di manopolone gigante. Come
un grosso contaminuti da cucina, ma invece dei numeri da zero a sessanta, portava impressa una serie di tacchette a cui corrispondevano i disegni di strani
animali.
"Sono i segni degli anni del calendario cinese", mi ha anticipato il
proprietario dell'attività commerciale itinerante.
Io ho fatto una faccia
sul perplesso andante e ho chiesto cosa se ne facesse dei segni del calendario
cinese, per cuocere un uovo alla coque o per gli spaghettini.
Quello ha
mutato espressione, come fosse uno dei leggendari custodi del segreto della
mummia, per trasformarlo, un istante dopo, in uno smunto sorriso di compatimento.
Eppure doveva avere simpatia per me. Oppure, per qualche oscuro motivo, mi
ritenne un predestinato. Perché iniziò a raccontarmi in modo sommesso, che in
realtà, quell'oggetto che inspiegabilmente per gli altri, mi aveva attratto, era
l'ultima rimasta, delle macchine immaginifiche del potente Xhiao Ping Teng. Portandolo con me, ogni volta che avessi ruotato per un giro intero, la parte
sferica superiore, portando la piccola tacca bianca, in corrispondenza di uno
dei segni dorati, mi sarei ritrovato nello stesso giorno, alla medesima ora, ma
nell'anno indicato dal simbolo. Avrei potuto essere in luoghi al di fuori da
ogni immaginazione. A distanza di pochi anni o molti secoli. Senza limiti. Capii
in un attimo, che il Fato aveva messo davanti a me un'occasione riservata a
pochi eletti, nella storia di questo nostro mondo.
"Come posso averlo?".
Il filippino con uno sguardo divenuto ossequioso, allungo' verso di me, le sue
mani, che tenevano devote, quell'oggetto unico. E mentre lo porgeva, portava il
capo verso il basso, con un gesto quasi sacrale. Io mi ritrovai a pochi
millimetri da quella superficie convessa rossa e lucida. Mentre sentii
distintamente la voce, indirizzata a me.
"Sono dieci euri".
Come, dieci
euro? Non puoi impedirmi di ricevere questo talismano. Sono io l'eletto.
"Sono dieci euri", ripeté ancora una volta, senza muovere il viso ancora
rivolto verso le mie scarpe. Non ti pare di essere esoso? Ti posso dare cinque
euro. Ho una banconota da cinque euro e non voglio resto.
"Sono dieci euri",
fu la magica preghiera con cui mi rispose, con le braccia ancora tese verso di
me.
Dieci euro per un passaggio verso l'eternità. Non riuscivo a crederci. Ma
era una questione di principio.
Al massimo potevo aggiungere la moneta che
tenevo per il carrello del Conad. Sei euro.
"Sono dieci euri".
Così, io
sono ancora qui. E quando passo davanti ai filippini che vendono le cover per
cellulari, penso sempre che, forse, non ho capito l'importanza di ciò che mi è
accaduto. Che forse avrei dovuto offrire almeno sette euri.