Volevo raccontarvi una delle mie piccole storie. L'ho immaginata iniziando dal momento in cui avete deciso di buttare via quelle inutili vecchie foto. Non più tristi, né rabbiose, nè odiose. Solo inutili vecchie foto. Come i vecchi flaconi di Citrosil dimenticati, da un'estate all'altra, sul davanzale della casa di mia nonna. A voi non capita?
E' andata proprio così. Volevo raccontarvi una di quelle storie, che accadevano nei film del secondo canale, il lunedì sera. Di quelle donne, bellissime e appassionate, che a un certo punto della trama, si ritrovavano con la foto di un uomo in mano. Immobili, per un istante, a fissare la foto della propria vita. Personaggi femminili che, per distruggere quella parte sbagliata della loro storia, potevano soltanto strappare una foto e gettarla via.
Una volta l'ho vista, una donna così. Stava seduta in mezzo al suo letto, con le caviglie incrociate. A mezzanotte passata, aveva tirato fuori una scatola di cartoncino patinato. Dentro ci teneva un bel mucchietto di foto, una sull'altra, come fossero le figurine dei calciatori Panini. Non so se ci avete mai fatto caso, ma le foto, a differenza delle figurine, non si possono conservare a mazzetti ordinati, perchè non sono mai tutte uguali. Hanno dimensioni diverse l'una dall'altra. Così, quando le riprendete per guardarle, dovete girarle e ruotarle nella giusta posizione. Ricordo ancora, con quanta attenzione, scrutasse quelle foto, prima di passarmele. Con quanta tenerezza e amore, le guardasse. Era come se, prima di mostrarle, dovesse riordinare le pieghe dei vestiti sgualciti, o aggiustare il ciuffo, trascinato dal vento, al momento dello scatto. Di ognuna, mi raccontava luoghi e personaggi, antefatti ed epiloghi. Per ognuna poteva ricordare un profumo, una parola, un'emozione. Di alcune ricordava solo la rabbia, per una parola non detta, o per un inganno subìto.
Mi raccontava delle tante volte, in cui aveva deciso di strappare quelle foto, di buttarle via assieme a quei ricordi pieni di rabbia. E delle altrettante volte in cui, mentre le prendeva tra le mani, ricominciava a guardarle e a sentirsi incapace di distruggerle. Guardarle era come rileggere i piccoli fogli degli adolescenti o le brevi lettere degli amori giovanili. Quando vengono ritrovati in un cassetto.
Erano tutte immagini molto belle. Come possono esserlo le foto, i racconti, le espressioni, i movimenti, di chi amiamo. Ricordo ancora oggi un suo ritratto, di una bellezza impressionante. L'ho visto soltanto quella notte, ma lo ricordo perchè mi è capitato di riconoscerlo, molto tempo dopo, stampato in bianco e nero, su un giornale, visto per caso. Sono certo di avere staccato la pagina e di averla conservata da qualche parte. O forse, ho soltanto immaginato di farlo.
Ecco, per quanto sbilenca, volevo raccontarvi una storia così. Poi, mentre iniziavo a prendere appunti sullo smartphone, mi sono reso conto di un'evidente mutazione. Le foto delle nostre vite non sono di cartoncino. Le parole delle nostre storie non sono graffiate sulla carta. Se per le mail, esiste ancora la possibilità di restare incantati a rileggere caratteri arial, verdana, o times, per distruggere le foto basterà invece, solo una piccola pressione su un tasto o su un touchscreen. Non avremo neppure il tempo di elaborare emozioni o rancori, rimpianti o rimorsi, ragioni o sentimenti. Non avremo un amico seduto sul letto, a cui mostrarle. Ci potrà salvare solo l'opzione "annulla". Se non saremo impulsivi o precipitosi.
Immagina l'inverno peggiore.
Immagina l'inverno più freddo.
Tu che ami l'estate più calda.
Immagina l'inverno più bianco.
Tu che ami il nero.
Immagina un inverno infinito.
Tu che non hai tempo.
Immagina l'inverno che ritorna ogni volta.
Tu che non lo aspetti.
Immagina il tuo inverno peggiore.
Io sono la', con le mie scarpe di cartone.
Come un uomo di ghiaccio, che aspetta il sole, sapendo che si scioglierà
("Dicono che le lacrime possono servire per disinfettare ferite")
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