Oggi, è andata a finire che sono rimasto da solo al lavoro. Anzi. Siamo
rimasti soli. Io e il mio computer, siamo rimasti soli. Non ci scrive
nessuno. La mail resta silenziosa. Lo so, lui vorrebbe raccontarmi di quando era
giovane, di quando era appena arrivato all'Inail. E di quando lo avevo raccolto,
anzi ereditato, come un piccolo cagnolino, dal dottor Uddis. Che pure lo trattava
bene, ma lo teneva lì, a scrivere pratiche. Qualche volta, al massimo, a
giocarci assieme, con il solitario di Windows. Poi ero arrivato io. Lo avevo
spolverato. Ripulito fuori e anche dentro. Ci avevo messo tutti i programmi
grandi e piccini, che rendono allegro e frizzante qualunque pc. Così, si ricorda
le prime volte che si svegliava, richiamato dal suono delle mail. Dal ticchettio
veloce dei tasti neri. Il nero è un colore che gli è piaciuto da subito.
D'altronde anche il suo chassis è nero. E poi la meraviglia di quella posta che,
sempre più spesso, interrompeva quella noiosa cartella clinica. Quella boriosa
cartella, con i suoi continui blocchi, come i capricci di una bambina viziata.
Le chiacchiere. Le frasi brevi. Gli scambi rapidi o le lunghe storie. I
ragionamenti accurati. Le confidenze così belle da raccontare. Così incantevoli
da tenere segrete nel disco rigido, garantito a vita. E se si fosse guastato, o
rotto, nonostante la garanzia? Lui, robusto pc Olidata, non osava neppure
pensarci. Avrebbe preferito essere riformattato, ma almeno avere un backup, da cui
leggere un giorno, ancora le sue memorie. Le memorie di un personal.
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