venerdì 28 giugno 2013

w. app (tre)

Sapete com'è. Scrivere pezzi lunghi, sulla tastiera di uno smartphone,  mentre si guida, oltre che contravvenire al codice della strada, è piuttosto difficoltoso. Però mi sembrava un vero peccato, perdere questi frammenti.



S.P. 52

Quella strada dimenticata.
Come una vecchia signora.
Antica diva del cinema in bianco e nero.
Muretti piegati in pose impossibili.
Curve da rally e buche inusuali.
Come le rughe. Quando sorridi.
E gli alberi ritrovati, che proteggono l'asfalto deformato,
che non riconosceva piu così tante auto.
Se non quelle dei ragazzini del paese vicino.
Che si davano appuntamento sulla Provinciale Cinquantadue.



S.S. 131

Sono così tanti.
I papaveri ammassati sul ciglio della statale,
che a volte mi aspetto che attraversino la strada all'improvviso.



S.P. 129

Un cielo confuso e pasticcione.
Nuvole informi e senza colore.
E quelle macchie improvvise, che sembrano lacrime,
ma che raccontano a tutti, di voler essere pioggia.



LYNC.

Così inutile, quel verde.
Così ironica, quella parola scritta a fianco al nome.
Così distante, quell'elenco di nomi.
Così lontano il brusio del cuore.
Sommerso dal rumore del lavoro quotidiano.
Scacciato dal battito degli orologi che corrono.
Così indifferente quella parola.
Disponibile.


I

Ho imparato da te,  a ridere quando sono stanco.
Ma soprattutto,  quando sono in difficoltà.


II

Vorrei che tu non fossi più nelle mie priorità.
Nessuno è più nelle mie priorità.
Niente è nelle mie priorità


III

L'averti deluso è il mio più grande fallimento.
La prova provata della mia incapacità.
Della mia incompiutezza.




lunedì 24 giugno 2013

traversine

A Oppama, la ferrovia non è mai arrivata. Quando gli ingegneri inglesi, progettavano le ferrovie in Sardegna, avevano un'idea molto semplice. I binari dovevano servire a collegare le miniere con i punti di carico. Poi dovevano servire a collegare i paesini che producevano qualcosa di utile e necessario alle città (latte, formaggio, carapigna). E soprattutto, il percorso veniva studiato, in modo che fosse possibile reperire il materiale necessario alla costruzione, direttamente lungo il percorso stesso. Il che, detto in soldoni, significa che i binari passavano nelle zone in cui si potevano segare gli alberi, in quantità sufficiente a fornire adeguato numero di traversine. Cosi, il percorso infilava o costeggiava boschi e foreste. Portava il progresso e la comunicazione, dovunque vi fossero alberi, in numero sufficiente da abbattere. Ma il paese di Oppama, già da allora, non aveva alberi da abbattere, per farci le traversine dei binari. E il treno inglese, a scartamento ridotto, si guardò bene dal passarci vicino.  Lord Benjamin, preferì disegnare la doppia linea di ferro e legname, più vicina al monte Palay. Per poterlo comodamente disboscare. Così il treno passò dal Marghine al Goceano, ma evitò accuratamente, il paese senza alberi. Persino la guerra, ci passò lontana, quasi con garbo. Lasciando soltanto i ricordi scanzonati di quei giovani soldati tedeschi. Lasciando solo l'eco delle risate degli indigeni, per quei giovani e inesperti soldati. Che urlavano, dopo avere mangiato avidamente, i famosi fichi d'india della pianura, che, diversamente da quelli siciliani, avevano millioni di spine sulla buccia. A qualcuno, doveva essere sembrata una buona idea, quella di traccciare una pista di atterraggio per aerei della Luftwaffe, in quella piana. Messa lì, al centro dell'isola, come che fosse una specie di "Area 51" del deserto del Nevada. E davvero non riesco a immaginare quale sgangherato generale, abbia potuto pensare di piantare proprio là,  un campo d'aviazione, anche solo da usare come officina, magari per riparare in santa pace, i velivoli guasti. Della guerra, gli abitanti delle rive del fiume Perso, prendevano solo degli innocui souvenir. Prevalentemente alimentari. Talvolta sotto forma di casse di legno pitturato. Buone per tenerci pane, cipolle, aglio o ferramenta. Erano talmente richieste in paese, che ci fu un periodo in cui i ragazzini organizzavano delle vere e proprie missioni, alla ricerca di casse da sottrarre. Come la volta in cui decisero di portarne via una, molto ben verniciata e tenuta sotto una tenda. Ce la misero tutta, per portarla fino alla stalla di Nicola. Nonostante fosse piuttosto pesante, e nonostante, il soldato di guardia, si agitasse, fingendo disperazione e gridando parole incomprensibili. Forse dicendo loro che fosse troppo GRANDE da rubare. O forse dicendo che contenva GRANO. O che dentro ci fossero GRONDAIE. Perchè, nella pianura senza alberi, mica se lo filava nessuno, un soldato tedesco che urlava. "GRANATEN!...GRANATEN!".

sabato 15 giugno 2013

tre volte l'anno

Oggi, come capita tre volte l'anno, ho deciso di farvi leggere qualcosa che mi piace molto e che trovo adatto alla giornata. Qualcosa che scriverei tale e quale. E' Roberto Cotroneo che cita Calvino, per il figlio. Il massimo, insomma.   Leggetelo, come sempre, con un sorriso.
" »Tra le molte virtù di Chuang-Tzu c’era l’abilità nel disegno. Il re gli chiese il disegno di un granchio. Chuang-Tzu disse che aveva bisogno di cinque anni di tempo e d’una villa con dodici servitori. Dopo cinque anni il disegno non era cominciato. Ho bisogno di altri cinque anni, disse Chuang-Tzu. Il re glieli accordò. Allo scadere dei dieci anni, Chuang-Tzu prese il pennello e in un istante, con un solo gesto, disegnò un granchio, il più perfetto granchio che si fosse mai visto».
Quel gesto vale dieci anni. Il tempo. Ti continuano a richiamare sul tempo. Sul tempo che ci metti a fare un esercizio, a rispondere a una domanda, ti continuano a chiedere conto del tuo tempo, del tempo che non si può mai perdere. Viviamo in un mondo dominato dagli orologi. Non si portano più soltanto al polso, non appaiono severi solamente sulle pensiline delle stazioni ferroviare. Ora sono sugli schermi dei computer, sono sui telefonini, si vedono, a cristalli luminosi anche di notte, in cima alle torri, ai palazzi, nelle piazze italiane. La gente continua a chiedersi che ora sia, anche quando non ha un appuntamento, anche quando non deve salire su un aereo. Tutto deve essere fatto e prodotto in poco tempo, si inventano macchine che servono a fare delle cose più velocemente di una volta. Perché la velocità, la rapidità è ricchezza. Ma anche svuotamento. Il tempo che risparmi è un tempo bruciato, cancellato dall’ansia della rapidità. Chuang-Tzu avrebbe potuto disegnare tre granchi per il re. Ma nessuno dei tre sarebbe stato perfetto, nessuno dei tre avrebbe reso felice il sovrano. La natura ha i suoi tempi. Anche la fantasia ha i suoi tempi, la creatività. Che non sono i tempi del potere e del denaro. Per questo la fantasia al potere è una contraddizione paradossale. Ma non  rassegnarti, Francesco. Non rassegnarti a vivere di modelli altrui, con i tempi degli altri, con le emozioni degli altri."

(Roberto Cotroneo. Se una mattina d'estate un bambino. Lettera a mio figlio sull'amore per i libri)

venerdì 14 giugno 2013

w.app (due)

Opere d'arte, che ti rapiscono il cuore con lo sguardo.
Di cui nulla può essere descritto, che non sia l'emozione. Punto


La mia strada. Le mie nuvole. I miei pensieri.
Teneri come ricordi che riaffiorano.
Come schiuma bianca delle onde del mare.
Che sparisce al tocco delle dita.


Scrivo.
Perchè vorrei essere capace
di lasciare le mie emozioni a mio figlio.
Lui avrà le sue.
E non so se avrà spazio e tempo, un giorno,
per sentirle e capirle.

tesoro











Non conta
ciò che non si può più fare.
Ciò di cui non è più tempo.
Ma guardare finalmente quel sentimento,
quasi dimenticato, come raffermo.
Così a lungo custodito,
sotto i teli bianchi e spessi,
piegati a proteggere il pane da cuocere.
Inutilmente costretto al buio.
Guardarlo soltanto,
tenendolo tra le due mani,
che si fanno nicchia di inestimabile tesoro.

sabato 8 giugno 2013

righe

Ricordo ancora, con un piccolo disagio, un professore di medicina legale, durante uno dei tanti corsi e seminari romani. Cercava di farci capire la volontà di morire, di una persona. Partendo dalla ricerca di elementi, che permettessero di distinguere un omicidio da un suicidio.  Ma la discussione prese i connotati di un confronto quasi teologico e filosofico, sulla volontà di morire. Sono certo che Michela Murgia, ci  avrebbe sguazzato. C'era una difficoltà quasi insormontabile, nell'entrare nei pensieri di una persona che avesse deciso di rinunciare, in modo così assoluto e definitivo. Il Professore decise allora, di portarmi a vedere un piccolo pezzo della Citta Eterna. Per un caffè. Fino a un ponte. Mi fece sporgere oltre il bordo del muro di pietra, alto non più di un metro. Sulla parete intonacata, ormai logorata dal tempo, decine di righe verticali. Più o meno sottili. Più o meno irregolari. Più o meno lunghe di qualche centimetro. Quel ponte, oggi famoso per i lucchetti, in  quel periodo, era molto gettonato per un altro uso. Un pò come lo erano i Bastioni di Cagliari. E quelle  righe sull'intonaco?.  "Sono l'immagine sacra, dell'insicurezza umana. Un attimo dopo l'ultima, definitiva, assoluta decisione sul proprio destino. Ci si aggrappa con le unghie, al muro che scorre verso l'alto". Come i titoli di coda di un film.
Ripenso sempre a quel ponte, nelle giornate come oggi, in cui mi sento agguantare dalla mia insicurezza. Forse per ritrovarmi in buona compagnia. Assolutamente. Definitivamente.  Irrimediabilmente. Forse.



"Porque tu me acostumbraste"

lunedì 3 giugno 2013

w.app (uno)















Chissà, se un giorno,
avremo modo di fare vedere a qualcuno
che non è con noi, nello stesso posto,
quello che vedono i nostri occhi.
E chissà se un giorno,
ancora piu lontano, 
avremo modo di far sentire
le nostre emozioni, a qualcuno
che non è con noi in quel momento.