Ho conosciuto Alyna, in questa vita, quando ero ancora un bambino. Credo di averla conosciuta quando il dottor Fernando decise di curare la mia tosse, renitente ai farmaci, con il rimedio più efficace. Fu così che mi ritrovai il giorno dopo, dentro il palazzo delle terme, nel paesino vicino al mio. Un'ora al mattino e un'ora la sera, avrei dovuto respirare quell'aria tiepida, umidiccia e appiccicosa. I risultati sarebbero stati sorprendenti. O almeno così assicurava il dottor Fernando. E io avrei finalmente finito di tossire, abbaiando come un cagnolino bagnato. In realtà, la cosa più sorprendente della cura, fu l'incontro con quella bambina.
La prima volta, l'avevo vista così diversa da me. Non aveva il pallore cereo del mio viso. E neppure gli occhi cerchiati dal livido delle notti insonni, passate a tossire, o a sputare sangue dai bronchi. Alle terme, in genere, si attendeva il proprio turno, seduti sulle panche di legno. Quella mattina, diversamente dal solito, la sala era quasi vuota. Io e lei, ci eravamo ritrovati in quello stanzone silenzioso, seduti ognuno, a un'estremità del tavolone che faceva da panca. Voltandomi verso di lei, tirai fuori una frase che doveva sembrarmi bellissima. "Lo sai che ho uno specchietto, che ci brucio le formiche?". L'altra estremità della panca, ruotò il capo verso di me, strabuzzando gli occhi scuri. Le sue mani a paletta, nascosero la smorfia di femminile disprezzo. Come un pugile provetto, tentai subito, il secondo colpo. "Che ci fai di bello, con quelle mani a paletta? Ci scavi la sabbia a Mollegrande?". "Io non ci vado al mare di Mollegrande, ma vado a Tandriola", fu la risposta fatta passare attraverso il filtro delle mani. A quel punto, qualunque essere femminile normale, avrebbe abbandonato la panca e il suo sterminatore di formiche. Quel viso color mediterraneo, invece, staccò le mani dalla bocca, facendone intravedere le labbra sottili.
La prima volta, l'avevo vista così diversa da me. Non aveva il pallore cereo del mio viso. E neppure gli occhi cerchiati dal livido delle notti insonni, passate a tossire, o a sputare sangue dai bronchi. Alle terme, in genere, si attendeva il proprio turno, seduti sulle panche di legno. Quella mattina, diversamente dal solito, la sala era quasi vuota. Io e lei, ci eravamo ritrovati in quello stanzone silenzioso, seduti ognuno, a un'estremità del tavolone che faceva da panca. Voltandomi verso di lei, tirai fuori una frase che doveva sembrarmi bellissima. "Lo sai che ho uno specchietto, che ci brucio le formiche?". L'altra estremità della panca, ruotò il capo verso di me, strabuzzando gli occhi scuri. Le sue mani a paletta, nascosero la smorfia di femminile disprezzo. Come un pugile provetto, tentai subito, il secondo colpo. "Che ci fai di bello, con quelle mani a paletta? Ci scavi la sabbia a Mollegrande?". "Io non ci vado al mare di Mollegrande, ma vado a Tandriola", fu la risposta fatta passare attraverso il filtro delle mani. A quel punto, qualunque essere femminile normale, avrebbe abbandonato la panca e il suo sterminatore di formiche. Quel viso color mediterraneo, invece, staccò le mani dalla bocca, facendone intravedere le labbra sottili.
"Io con le mie mani, ci sposto i mobili".
Fino ad allora, non avevo mai conosciuto bambine che spostassero mobili a mani nude. Tantomeno, con le mani a paletta. Fu così che nei giorni seguenti, oltre a imparare a respirare quell'aria tiepida, umidiccia e appiccicosa, imparai a conoscere quella strana bambina, con la passione dei traslochi. Ogni giorno mi raccontava molto di sè e della sua casa. Di come ogni tanto, sentisse la necessità di spostare i mobili della sua camera. Dapprima quelli più piccoli. Poi quelli più grandi. Era come se, ogni giorno, la vedessi crescere. Mi confidava che, cambiare la disposizione della propria camera, non le bastava più. Mi raccontava di quando aveva iniziato a spostare anche gli arredi della stanza del fratello. Poi della cucina. Persino della sala da pranzo. Spostare e modificare ciò che le stava attorno, riusciva a placare quella strana sensazione, che certi giorni, sembrava occupasse tutti i suoi pensieri. Arrivò anche a spostare la propria casa. Andando ad abitare in un altro luogo. Ma dopo? Cos'altro avrebbe potuto spostare? Mentre parlava, la sua espressione cambiava, il suo viso si faceva via via, più affilato, pur mantenendone i lineamenti morbidi, di quando l'avevo conosciuta.
Fino ad allora, non avevo mai conosciuto bambine che spostassero mobili a mani nude. Tantomeno, con le mani a paletta. Fu così che nei giorni seguenti, oltre a imparare a respirare quell'aria tiepida, umidiccia e appiccicosa, imparai a conoscere quella strana bambina, con la passione dei traslochi. Ogni giorno mi raccontava molto di sè e della sua casa. Di come ogni tanto, sentisse la necessità di spostare i mobili della sua camera. Dapprima quelli più piccoli. Poi quelli più grandi. Era come se, ogni giorno, la vedessi crescere. Mi confidava che, cambiare la disposizione della propria camera, non le bastava più. Mi raccontava di quando aveva iniziato a spostare anche gli arredi della stanza del fratello. Poi della cucina. Persino della sala da pranzo. Spostare e modificare ciò che le stava attorno, riusciva a placare quella strana sensazione, che certi giorni, sembrava occupasse tutti i suoi pensieri. Arrivò anche a spostare la propria casa. Andando ad abitare in un altro luogo. Ma dopo? Cos'altro avrebbe potuto spostare? Mentre parlava, la sua espressione cambiava, il suo viso si faceva via via, più affilato, pur mantenendone i lineamenti morbidi, di quando l'avevo conosciuta.
Cos'altro avrebbe potuto spostare?
Aveva ancora una cosa da spostare. I sentimenti.
Mi disse che in tutti quei giorni di cure termali, li aveva sempre tenuti con sè. Custoditi al riparo da ogni curiosità umana. Contenuti in quello che lei chiamava microcosmo. Ancora oggi, me l'immagino il suo microcosmo. Un piccolo pianeta. Un mondo invisibile e impermeabile agli altri. Me l'immagino colorato di uno strano azzurro, cangiante, come in movimento. Una sfera, all'apparenza di vetro, ma morbida e tenera al tatto. Così delicata, da poterci infilare le dita, sentirne il solletico sui polpastrelli. Me l'immagino, come tutte le cose più prezione, che per essere protette, sono sempre bene in vista. Posato su un mobile basso, in mezzo a tante piccole statuine di angeli, zebre e tartarughe di cristallo. Così, mentre davanti ai miei occhi, la bambina mutava in ragazza, adolescente, giovane donna. Io, ascoltandola, restavo bambino. Irrimediabilmente.
Ritornò bambina solo per un istante. Salutandomi con il suo sorriso. Mentre attraversava il mulinello cristallino, della porta girevole, lanciandomi un bacio, con lo schioccare delle labbra sottili, attraverso il vetro.
Un istante, durato il tempo di tre parole:Aveva ancora una cosa da spostare. I sentimenti.
Mi disse che in tutti quei giorni di cure termali, li aveva sempre tenuti con sè. Custoditi al riparo da ogni curiosità umana. Contenuti in quello che lei chiamava microcosmo. Ancora oggi, me l'immagino il suo microcosmo. Un piccolo pianeta. Un mondo invisibile e impermeabile agli altri. Me l'immagino colorato di uno strano azzurro, cangiante, come in movimento. Una sfera, all'apparenza di vetro, ma morbida e tenera al tatto. Così delicata, da poterci infilare le dita, sentirne il solletico sui polpastrelli. Me l'immagino, come tutte le cose più prezione, che per essere protette, sono sempre bene in vista. Posato su un mobile basso, in mezzo a tante piccole statuine di angeli, zebre e tartarughe di cristallo. Così, mentre davanti ai miei occhi, la bambina mutava in ragazza, adolescente, giovane donna. Io, ascoltandola, restavo bambino. Irrimediabilmente.
Ritornò bambina solo per un istante. Salutandomi con il suo sorriso. Mentre attraversava il mulinello cristallino, della porta girevole, lanciandomi un bacio, con lo schioccare delle labbra sottili, attraverso il vetro.
"Abbiamo un nostro microcosmo".
"Che non è di nessun altro".
"Pieno di emozioni".
"E' bellissimo".
"Non si può!".
"L'hai nascosto?".
"Dov'è, ora?".
"L'ho spostato".
Quando ci lasciavamo, non ci pareva di separarci, ma di andare ad attenderci altrove. (CesarePavese)
Nessun commento:
Posta un commento