sabato 24 novembre 2012

mani a paletta

Ho conosciuto Alyna, in questa vita, quando ero ancora un bambino.   Credo di averla conosciuta quando il dottor Fernando decise di curare la mia tosse, renitente ai farmaci, con il rimedio più efficace.    Fu così che mi ritrovai il giorno dopo, dentro il palazzo delle terme, nel paesino vicino al mio. Un'ora al mattino e un'ora la sera, avrei dovuto respirare quell'aria tiepida, umidiccia e  appiccicosa.  I risultati sarebbero stati sorprendenti.  O almeno così assicurava il dottor Fernando. E io avrei finalmente finito di tossire, abbaiando come un cagnolino bagnato.   In realtà, la cosa più sorprendente della cura, fu l'incontro con quella bambina.
La prima volta,  l'avevo vista così diversa da me.   Non aveva il pallore cereo del mio viso. E neppure gli occhi cerchiati dal livido delle notti insonni,  passate a tossire, o a sputare sangue dai bronchi.  Alle terme, in genere, si attendeva il proprio turno, seduti sulle panche di legno. Quella mattina, diversamente dal solito, la sala  era quasi vuota.   Io e lei, ci eravamo ritrovati in quello stanzone silenzioso, seduti ognuno, a un'estremità del tavolone che faceva da panca.   Voltandomi verso di lei, tirai fuori  una frase che doveva sembrarmi bellissima.   "Lo sai che ho uno specchietto, che ci brucio le formiche?".     L'altra estremità della panca, ruotò il capo verso di me, strabuzzando gli occhi scuri. Le sue mani a paletta, nascosero la smorfia di femminile disprezzo.  Come un pugile provetto, tentai subito, il secondo colpo. "Che ci fai di bello, con quelle mani a paletta? Ci scavi la sabbia a Mollegrande?".   "Io non ci vado al mare di Mollegrande, ma vado a Tandriola", fu la risposta fatta passare attraverso il filtro  delle mani.    A quel punto, qualunque essere femminile normale, avrebbe abbandonato la panca e il suo sterminatore di formiche.     Quel viso color mediterraneo, invece, staccò le mani dalla bocca, facendone intravedere le labbra sottili.
"Io con le mie mani, ci sposto i mobili".
Fino ad allora, non avevo mai conosciuto bambine che spostassero mobili a mani nude. Tantomeno, con le mani a paletta.   Fu così che  nei giorni seguenti, oltre a imparare a respirare quell'aria tiepida, umidiccia e appiccicosa, imparai a conoscere quella strana  bambina, con la passione dei traslochi. Ogni giorno mi raccontava molto di sè e della sua casa. Di come ogni tanto,  sentisse la necessità di spostare i mobili della sua camera.   Dapprima quelli  più piccoli.     Poi quelli più grandi.  Era come se, ogni giorno,  la  vedessi crescere.  Mi confidava che, cambiare la disposizione della propria camera, non le bastava più.  Mi raccontava di quando aveva iniziato a spostare anche gli arredi della stanza del fratello.  Poi della cucina.  Persino della sala da pranzo.    Spostare e modificare ciò che le stava attorno, riusciva a placare quella strana sensazione, che certi giorni, sembrava occupasse tutti i suoi pensieri.   Arrivò anche a spostare la propria casa.   Andando ad abitare in un altro luogo.  Ma dopo? Cos'altro avrebbe potuto spostare?  Mentre parlava, la sua espressione cambiava, il suo viso si faceva via via, più affilato, pur mantenendone i lineamenti  morbidi, di quando l'avevo conosciuta.
Cos'altro avrebbe potuto spostare?
Aveva ancora una cosa da spostare.   I sentimenti.
Mi disse che in tutti quei giorni di cure termali,  li aveva sempre tenuti con sè.  Custoditi al riparo da ogni curiosità umana.  Contenuti in quello che lei chiamava microcosmo. Ancora oggi, me l'immagino il suo microcosmo.  Un piccolo pianeta.  Un mondo invisibile e impermeabile agli altri. Me l'immagino colorato di uno strano azzurro, cangiante, come in movimento.  Una sfera, all'apparenza di vetro, ma morbida e tenera al tatto.  Così delicata, da poterci infilare le dita, sentirne il solletico sui polpastrelli.  Me l'immagino, come tutte le cose più prezione, che per essere protette, sono sempre bene in vista.  Posato su un  mobile basso, in mezzo a tante piccole statuine di angeli, zebre e tartarughe di cristallo.  Così, mentre davanti ai miei occhi, la bambina mutava in ragazza, adolescente, giovane donna.  Io, ascoltandola, restavo bambino.   Irrimediabilmente.
Ritornò bambina solo per un istante.  Salutandomi con il suo sorriso.  Mentre attraversava il mulinello cristallino, della porta  girevole,  lanciandomi un bacio, con lo schioccare delle labbra sottili, attraverso il vetro.
Un istante, durato il tempo di tre parole:
"Abbiamo un nostro microcosmo".
"Che non è di nessun altro".
"Pieno di emozioni".
"E' bellissimo".
"Non si può!".

"L'hai nascosto?".
"Dov'è,  ora?".

"L'ho spostato".

 
Quando ci lasciavamo, non ci pareva di separarci, ma di andare ad attenderci altrove. (CesarePavese)

mercoledì 21 novembre 2012

mani

"Libero la mia mano, portandola al collo dolente,  e mi ricordo.
Porto ancora il segno.
Viene con me.
In ogni luogo. O qualunque momento, senza preavviso.
Come cicatrice benefica.   
Indelebile, eppure invisibile.
Carta geografica dei miei luoghi.   
Mappa del mio viaggio.
Disegno stampato a fondo, nell'involucro della mia anima.
Ha la forma di una mano fresca e morbida,  
poggiata sul collo rovente e ruvido.
Nata come carezza.
Perduta come un fantasma."

(inaspettata, l'ho trovata in un luogo che non cercavo, ma non vi dirò dove)


martedì 13 novembre 2012

le strade dritte

Sono andato a guardare la lista degli avvenimenti, in un anno a caso: 1962. Primo film di Zero-Zero-Sette, primo disco a 45 giri dei Beatles, primo numero di Diabolik in edicola, crisi dei missili a Cuba, morte di Marilyn, indipendenza del Burundi, Nettuno e Plutone si allineano. Mi sono venute le vertigini e ho smesso di leggere. Questi calendari sono come le enciclopedie mediche. Nei calendari, ogni anno ha un sacco di avvenimenti importanti. Nelle enciclopedie mediche, ogni scheda che parla di una qualunque malattia, finisce che il malato muore. O, almeno, così mi disse il mio barbiere, quando chiesi il motivo per cui buttava il volume Zanichelli, comprato con Sorrisi e Canzoni tv, dentro la pattumiera condominiale. Quello era lo stesso anno in cui mio zio, assieme ad altri, decise di partire fuori dall'isola, per andare a vivere e lavorare (non so quale fosse l'ordine delle priorità) nel nord Europa. Nella più grande città fluviale del nord Europa. Non gli ho mai chiesto, se avessero scelto, dopo avere guardato qualche atlante geo-politico, o qualche cartolina del lago Alster. Diversamente da me, non ha mai pensato di tornare al borgo natio. Nè, mi pare, risenta troppo, ancora oggi, del richiamo della valli e dei fiumi della Terra Madre. Naturalmente, in tutti questi anni, ha incontrato anche la madre dei suoi figli. Una bellissima donna. Credo l'abbia conosciuta in una fabbrica di valvole per televisori. Lo so. Non è come "La fabbrica di cioccolato" di Tim Burton, pero' ricorda molto "Flash Dance". Adesso, dopo molti anni di lavoro, spesso notturno, inizia a essere un pò stanco e non si fa mancare qualche acciacco, di cui potersi lamentare, al telefono con sua sorella, rimasta a galleggiare sull'isola dei Giganti di Monte Prama. Lo fa sempre sul filo dell'ironia e del sarcasmo leggero, imparato negli anni di collegio dai Salesiani. La maggiore delle figlie, Alexia, è diventata medico e poi chirurgo. Come le altre sorelle, è una persona dolcissima, capace di grandi slanci e dotata di grande passione per il proprio lavoro. A volte riusciamo anche a fermarci assieme per pranzo. In genere è, più che altro, uno spuntino veloce. Oggi, il caso ha voluto che la mia amica Alyna, non avesse voglia della solita passeggiata fino alla trattoria, e quindi ha convinto Alexia a stare con noi, per mangiare una fetta di pizza napoletana. Così, durante la pausa, abbiamo scoperto un'altra dote della primogenita. Per mezzora, non ha mai smesso di parlare e raccontare di sè. Sono riuscito a fermarla, solo quando ho fatto presente che avremmo dovuto riprendere il lavoro, lamentandomi del fatto che il mio nuovo incarico, era piuttosto impegnativo, pure se gratificante.  "Non tutte le strade sono dritte, caro dottore", ha sentenziato con grande tenerezza. E' stato bello sentire quella frase, così piena di simbolismo. Ho riprovato una sensazione, che mi ha riportato alla mia vecchia casa da studente universitario, in viale Dante. Ho ricordato quella stessa sensazione, avuta nel sentire le parole della mia amica Pierina, stremata dai preparativi di un esame ostico, come Patologia Medica. La ricordo ancora benissimo, poggiata al davanzale, dove coltivava il suo basilico, impugnando un coltellaccio da cucina. "Perchè, devi sapere, che nella vita, ci sono giorni d'estate e giorni d'inverno". Adesso potete capire perchè, un istante dopo, ho voluto salutare la mia amica Alyna, ricordandole l'affettuoso invito della cuoca, davanti alle polpette della mensa della scuola materna di Santorino: "preferisci quelle che vuoi".

martedì 6 novembre 2012

ginocchia sbucciate

Capita anche a voi? Giornate che finiscono. In cui mi siedo e guardo con tenerezza, le mie piccole  vecchie cicatrici sulle ginocchia. Segni delle mie cadute da bambino. Grandi dolori, segnati dalle lacrime ancora poco salate. Segni di dolori ormai lievi e lontani. Mi fanno compagnia, le mie cicatrici di bambino. Mi consolano, dicendomi che i dolori dell'oggi, un giorno, saranno piccoli segni sulla pelle, di cui andare fiero. Di cui sentire tutta la passione del vivere. Anche cadendo.