venerdì 14 settembre 2012

il sax di fausto papetti

Ho ripreso a viaggiare molto spesso. In realtà viaggio tutti i giorni, come un rappresentante di commercio, ma faccio finta che non sia così. Il piacere del viaggiare, per un'ora, al mattino presto, quasi sempre al buio, viene dal fatto di poter sentire un silenzio che si riempie di suoni. Anche a dieci gradi di temperatura, apro un pò i finestrini, per fare suonare l'aria a centotrenta chilometri orari. Lo so quello che pensate: che la vera ebbrezza della velocità, inizia quando si va a centosessanta. Ma quando si parte al mattino presto, non si ha lo spirito della sfida, come accade invece nei pomeriggi di primavera, quando si possono fare le gare, magari fermandosi al pit-stop, nelle piazzole della superstrada, prima del distributore. Al secondo posto, dei piaceri del viaggiatore quotidiano, c'è sicuramente l'ascolto delle canzonette. Con i tempi moderni, è diventato facile avere una bella playlist, con tutto quello che occorre per passare sessanta minuti, cantando romanticamente a squarciagola. Ma se fate un piccolo sforzo di memoria, ricorderete che ci sono stati tempi, in cui i dischi occorreva comprarli e l'unico modo per avere tutti i successi, in un unico disco (vinile, a 33 giri), era comprare gli album di Fausto Papetti. Fausto... Chi?    Era un signore che, negli anni sessanta e settanta, suonava i successi del momento, con il suo sassofono.  Una tristezza.   Con brani pronti all'uso, per ballare quelli che allora si chiamavano "i lenti". Ballare un lento, era il modo più pratico e apparentemente disinteressato, per stare finalmente appiccicati in due, su un pezzo di pavimento, ondeggiando alternativamente sulle gambe.  Per fortuna, ci fu un momento in cui tutto cambiò. Fu alla fine del 1969. Un furbacchione francese, signore di mezza età, fidanzato con una ragazzina, decise di fare un disco molto impegnativo. Con un testo naturalmente molto impegnativo. E una melodia naturalmente molto...lenta. Ma siccome, il signore si chiamava Serge Gainsbourg (Serge...chi?), il suo disco fu un successone europeo. Niente fu più come prima. Ballare con quel disco diventava un vero oltraggio al pubblico pudore. Come andare in topless alla spiaggia di Giorgino a Cagliari. Perchè invece, a Cala Ginepro, si poteva già fare (ho le prove; una foto, da qualche parte, di una turista, francese, naturellement). Fu cosi, che anche in Italia, iniziò il filone dei dischi di ambiente. C'era un gruppo che si chiamava "Daniel Sentacruz Ensemble", con un brano che si intitolava "Soleado". Si. Proprio quello. Il cui testo era composto da una sola vocale: "o-o-o-oh-o-o-o-o-oh!". Segno dei tempi. Ricordo che proprio "Soleado", fu il nome, evocativo e simbolico allo stesso tempo, che fu dato alla prima sala da ballo del paese. In un anticipo di quello che oggi, si definirebbe glocal (globale e locale), o etno-pop, l'insegna appesa all'ingresso del locale (un garage, scantinato, magazzino, seminterrato), era una vecchia ruota di carro, di legno, pitturata di bianco e con i raggi celesti. Con la scritta dipinta in modo certosino, in corrispondenza dei singoli raggi. In quella sala c'era la rappresentazione del futuro. L'anticipazione della bella vita, che aspettava tutti noi, trascinati dal fiume della petrolchimica, nel gorgo voluttuoso della voce di Jane Birkin. Non ho mai saputo che aspetto avesse questo futuro. Ero troppo piccolo e non mi fecero entrare. E il Soleado, chiuse i battenti prima che io avessi l'età adeguata per poterci mettere piede.

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