Ma che ci faccio io, in un posto pieno di moscerini? Me lo sono chiesto, mentre rientravo al mio convento di clausura part-time. Perché ci sono punti in cui, i pantaloni timberland beige, diventano improvvisamente micro-leopardati. Accade sotto i tuoi occhi, come negli effetti speciali di Indiana Jones. Sono milioni, miliardi, più delle stelle della nebulosa di Andromeda, che vedevo da bambino nell'enciclopedia dei Quindici. E arrivano lì da te. Guidati telepaticamente da un'intelligenza aliena. Sono dovunque e tu non puoi impedire neppure che uno dei missili intelligenti, entri nel centro di comando, per renderti inoffensivo. Centrando perfettamente il tuo occhio, nonostante la tua manovra di difesa, che ti fa tenere gli occhi socchiusi, fingendo che sia per il sole in faccia. Ma che ci faccio io, qui? In un posto con così tanti moscerini, che ti domandi, come facciamo gli uomini e le donne, ad andare così veloci, in bici, e così sorridenti. No. Non mi chiedo che cosa abbiamo da ridere. Mi domando soltanto: ma non gli entreranno troppi moscerini in bocca?
mercoledì 13 giugno 2012
mercoledì 6 giugno 2012
consolazioni
I gerani della signora fulvia sono uno spettacolo; non puoi non fermarti a meravigliarti, almeno un momento. Li ho messi nel mio diario fotografico su facebook, ma non potevo non farveli vedere.
corti racconti
Mia cugina dice che scrivo cose troppo corte. Forse ha ragione. Ultimamente dormo poco. I racconti, a volte, sono come i cervi di Scivu. Se vuoi vedere i cervi e i cerbiatti, che scendono verso il mare, per mangiare il sale, occorre sedersi e aspettare. Aspettare che ci sia il silenzio e che il silenzio sia abbastanza lungo. Occorre aspettare che arrivi il crepuscolo, e subito dopo, tenere lo sguardo fisso sui lentischi, sui ginepri, sui minuscoli sentieri, invisibili, tracciati dai cervi, giorno per giorno. Solo allora, se ci credi veramente, sentirai qualcosa che somiglia allo stormire delle fronde. Non devi stare immobile. Devi seguirli, guardarli negli occhi, come loro guardano te. A volte i loro occhi luccicano. Per i romantici del medio campidano, riflettono la luce della luna piena. Per i turisti milanesi, riflettono le luci del vecchio villaggio Valtur, di Portu Maga, quando passano a fianco dei campi di calcetto, per raggiungere lo stabilimento in concessione (2000 euro l'anno). Ma io volevo solo rispondere a mia cugina. Se volete provare l'emozione, che io non so raccontarvi, prendete la strada per Arbus, e poi cercate la strada per Portu Maga. Andateci quando volete. In una qualunque sera dell'anno. Andateci con chi volete: romantici appassionati di reincarnazioni, o veterinari dell'asl, esperti conoscitori di fauna sarda. Ognuno potrà vederci quello che custodisce nella propria anima. Il mio amico Bobore, l'ultima volta che c'è stato, ha tenuto un simposio sulla rappresentazione naturale, della fierezza del popolo sardo, incarnata, a suo dire, dal cervo mastodontico piazzato davanti a lui. I racconti, invece, hanno bisogno di ritmi calmi, serate lunghe, pause senza tempo. Hanno bisogno di profondi respiri, che svuotano la testa, e di emozioni che la riempiono. Poi bisogna aspettare che arrivino i ricordi. E quando i ricordi, finalmente, arrivano, li devi guardare negli occhi, vedendoci ciò che riflettono. Allora puoi iniziare a raccontare quei ricordi. Sono i tuoi e di nessun altro, perchè, come dice la mia amica Neurologa, "ognuno di noi, fa la plastica facciale alla realtà della vità, adattandola a sè e ai propri desideri". Cara cugina, come avrai capito, ultimamente non scrivo racconti lunghi, perchè mi perdo facilmente, come nei piccoli sentieri tracciati dai cervi, sulle colline che vanno a Scivu.
domenica 3 giugno 2012
maestrale due

In questo sole di giugno, sembra così lontano l'inverno. Così tanto, da non sentirne nostalgia. Mentre tornano a farmi compagnia gli uccelli che mi portano i tuoi pensieri.
La mia strada preferita. Dove i colori rossi, gialli e viola non si sono ancora spenti e i papaveri non sono ancora sfioriti, nel caldo della primavera, che diventa estate. Così belli e profumati, che rinuncio a fare una foto, perché non riuscirebbe a dare l'idea della loro emozionante bellezza.Sono a casa. Sono nel mio sole, nella mia luce e nella mia aria. Nel mio cielo azzurro e pulito. Nel maestrale, che senti anche quando ti dicono che non c'è. Nell'aria profumata di lentischi, anche quando dicono che non c'è.
maestrale uno
Torno qui. Di notte. E sento l'aria diversa. L'aria che mi viene incontro. Come una canzone d'amore, che racconta storie bellissime. Storie che quell'aria vuole sentirsi raccontare. Storie di pensieri, di sorrisi, di tempo che passa sorridendo. E quell'aria della notte, è così diversa, mentre ti dice di averti aspettato così a lungo.
"Bentornato a te", che ti guardi intorno, cercando di capire, cosa possa riempire il vuoto lasciato. Non so se sia tu o la Grande Madre, che tutti credono di sentire. Ma so che questa che mi circonda, è una cosa mia. O forse io sono suo. Chissà dove sei. E se ti arrivano le mie piccole lacrime d'emozione.
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