giovedì 12 gennaio 2012

giustizia divina

Ci sono giornate in cui non mi voglio troppo annoiare. Se poi devo parlare di argomenti potenzialmente noiosi, la cosa diventa improponibile, per il mio carattere. Allora, sfodero il mio repertorio di "storie" (se andate a cercare nelle note precedenti, troverete un'altra citazione). Talvolta sono storie vere che sembrano inventate, altre volte sono storie  talmente inventate, che somigliano perfettamente a quelle che ognuno di noi ha vissuto.  Sono delle pause leggere, che mi consentono di non dormire in piedi e di non fare russare troppo fragorosamente, gli uditori.  Certi argomenti, in effetti, non sono il massimo. Provate a pensare, se vi capita un argomento come "ergonomia e movimentazione manuale dei carichi, nell'eziologia della lombosciatalgia". Praticamente siete morti. Peggio della pozione di Frate Lorenzo, che fece adddormentare Giulietta. Così, quando mi è capitato, ho tirato fuori una delle figure che più mi ricordano l'adolescenza paesana. Tutti ricordano ancora i bar delle piazze di paese. Quelli con le sedie di metallo cromato e braccioli e sedute intrecciati con un tubicino di plastica sottile, di colori fluorescenti. E tutti ricordano l'occupante abituale di quelle sedie. Il belloccio del paese. Capello fluente. Fisico prestante. Abile calciatore. Capo cannoniere del torneo bar. Percentuale di occupazione della suddetta sedia e del suddetto bar, di entità inversamente proporzionale alla sua presenza, presso il locale sportello dell'ufficio di collocamento. Per non parlare della postura inconfondibile. Seduto di sghembo, in modo da poter mollemente posare il retro del ginocchio, su uno dei braccioli, facendo così penzolare l'anca all'esterno del lato della sedia. E come non ricordare, al passaggio dell'amico, del conoscente, o del semplice paesano, l'altrettanto molle alzata di braccio, controlaterale alla gamba, per un benevolo e affettuoso saluto.  Un cenno, quasi misericordioso, per chi, della vita, vedeva solo le fatiche e le quotidiane sofferenze. Un vero filosofo, del vero otium originario. E poi... c'era lei. La bella, alta, candida, profumata, misteriosa, affascinante, ricca, benestante, figlia unica. Il miglior partito del paese. Nei desideri, confessati o meno, di ogni giovanotto del paese. Lei passava gli anni dell'adolescenza e dei primi rossori della gioventù, a catalogare, selezionare, scegliere. Le amiche. Il primo amorino delle scuole medie. Il primo tentativo di legame impegnato. Poi, come sempre, dalle mie parti, arrivava il carnevale. E con la quaresima iniziavano le voci sommesse. E quelle voci diventavano suono di campane pasquali, nell'annunciare il fidanzamento dell'anno (si, proprio quello di cui tutti possono parlare). Lui. Si, proprio lui. Dino. Gino. Lino. Tino. Pino. Mai che avessero nomi lunghi da imbranato. E noi imbranati, a chiederci perchè non ci sia una giustizia divina, che impedisce queste ingiustizie cosmiche, che danno tutto a chi ha già tutto.  Fidanzamento in piena regola. Matrimonio in piena regola. A denti stretti, forse. Con lussuosa dote, comprendente corredi multipli, tegami delle zie, magione del nonno, mobilio dei bisnonni. E naturalmente, cerimonia sfarzosa, rigorosamente a spese della sposa. Ora,  vi chiederete, cosa mai possa c'entrare tutto questo con il titolo della premessa?   Ecco...vedete?  Arrivato e passato il giorno del matrimonio. Arrivata e passata la prima notte di nozze. Arriva il mattino del primo giorno di vita coniugale. Ed è in quel preciso momento che la mite, quasi arrendevole sposina, mostra il suo vero, dolcissimo carattere. "Tesoro. Questo comò della mia bisnonna....io credo che starebbe d'incanto, se fosse messo sulla parete di fronte alla finestra, e non sotto". "Vedi? Basterebbe spostarlo sull'altra parete". Così il nostro ex-scapolo-d'oro, non può tirarsi indietro, di fronte alla prima richiesta di dimostrazione di mascolinità, che lo renderà degno capo-famiglia. E così inizia l'opera di spostamento. Ed è in quel preciso istante, che accade l'inaspettato. Vorrei che poteste vedere le facce dei miei uditori, quando, a questo punto del racconto, attendo qualche istante in silenzio, e poi pronuncio  la mia frase ad effetto. "...Perchè  c'è una Giustizia Divina. Che si manifesta sotto forma di lombalgia acuta da sforzo. Quella che si chiama da tempi lontani, colpo della strega". Mi piacerebbe davvero farvi vedere le loro facce soddisfatte, per un mal di schiena che li ricompensa, come una piccola rivincita.

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