Credo che capiti, piu' o meno spesso, di farsi domande più o meno utili, più o meno stupide, più o meno necessarie. Credo che in mezzo a queste domande (che si accumulano come i vecchi giochi dei figli, nelle camerette-gulag, sotto forma di stoccaggio temporaneo), io stesso mi sia chiesto come potessero essere i fantasmi; sotto che forma potessero apparirmi e semmai potessi riconoscerli, individuarli da quale caratteristica; insomma: che aspetto avessero qualora li avessi incontrati.
Tutti questi congiuntivi si sono rivelati del tutto inutili. Quando ho incontrato un fantasma, non ho avuto dubbi. L'ho visto in questa sera di mezzo autunno, non troppo fredda, non troppo nebbiosa, non troppo triste. L'ho visto mentre cercavo di fare la solita manovra con la macchina; una manovra stupida che faccio sempre e che serve a risparmiare, si e no, 4 metri di strada, sotto gli occhi vigili di mio padre che ancora non si fida del mio modo di fare le manovre in retromarcia, controllando tutto il traffico presente e futuro.
L'ho visto dall'angolo del finestrino dietro il montante. Grigio come i muri mai finiti della casa all'angolo; con l'ombra arancione dei lampioni a risparmio energetico. Prima di vedere lui, ho visto quella cosa tozza che galleggiava sopra di lui: ho riconosciuto il vecchio colbacco che aveva portato da torino, per le giornate di freddo, che poi non c'erano mai state. Quel colbacco, non poteva essere che lui. E sotto quel colbacco ondeggiante, c'era il fantasma. Il fantasma di cio' che era stato. Il fantasma di cio' che è restato. I vestiti vuoti, che un tempo erano stati riempiti da un simpatico ciccione. Scarpe invisibili che scivolano sull'asfalto senza lasciare traccia.
Credi di vederlo muovere verso di te, ma sembra restare sempre alla medesima distanza. Cammina verso di te, ma sembra che non si avvicini.
E poi, in un istante, non sei piu' fermo; non sei più sospeso nel tempo che ti ricorda ciò che sei stato. Finisci furiosamente la manovra, ti rimetti nella direzione opposta e riparti guardando dallo specchietto. Ed è in quel preciso momento che capisci che stai davvero fuggendo, non per la paura di parlare con un fantasma, ma per la tenerezza che potresti provare per quell'ombra. Per la paura fottuta che tu possa farlo soffrire, nell'affiorare dei ricordi di cio' che era stato e del pensiero di cio' che è restato. Vai via, sicuro che non avrà pensato che dentro quella macchina ci sia stato proprio tu.
Anzi! Sicuro che lui, ....neppure l'abbia vista, quella macchina del colore della nebbia.
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