mercoledì 14 dicembre 2011

spiagge


Siamo come ci vedono gli altri. Coraggiosi o nervosi. Sfrontati o prevedibili. I soliti o gli insoliti. Prima che dimentichiate l'estate, vi regalo uno scatto e nessun commento.

sabato 26 novembre 2011

il conte brizzi (due)

Qualcuno, a baunei, conserva ancora le foto con il famoso peppino meloni e il suo "fantino", perriccu dettori.
Meloni, però, nei 1909, non allevava cavalli, ma struzzi (ho resistito alla tentazione di scrivere "tacchini", perchè ho sempre un lapsus).Però quella era davvero un'altra storia.
Quella che invece ho conosciuto, in un settembre di dieci anni fà, è una storia del tutto diversa (cfr brizzi-uno).
Il conte brizzi, è milanese. Famiglia di banchieri.  Ricchi, facoltosi, potenti, ...e milanesi.  Una famiglia bene e soprattutto, in vista, nei primi anni venti.
Il giovane brizzi e la gentile consorte, hanno però uno stile di vita, che alla famiglia,  non appare del tutto morigerato. Il risultato è che, alla fine, il conte viene diseredato. O meglio, esiliato.   Esiliato nel posto più isolato....del posto più isolato...dell'isola più isolata: sardegna-baunei-santa maria navarrese.
Quello che accade al giovane brizzi, da quel momento in poi, è una storia fatta di frammenti e ricordi. Come piccole foto scolorite dal tempo. Si rivede il conte che arriva  alla messa della domenica, nella chiesa di santa maria navarrese. Seguito dalla servitù che si preoccupa di levare i coprighette, evitando che le scarpe si sporchino di fango, per poi rimetterli premurosamente all'uscita della funzione religiosa. Oppure si immagina cosa possono avere pensato i nostri vecchi sardi, nel vedere quel continentale, salire su un calesse, trainato da struzzi, per andare fino a cagliari, dalla barberia di fiducia. Rivedo la baldanza della compagnia di caccia, nell'essere ritratti assieme al Signor Beretta, con i suoi magnifici fucili.
Era davvero un esilio dorato. Era davvero un esilio. Definitivo. Senza revoca.
Il conte brizzi muore in quel borgo, che lo aveva accolto. Senza ostilità. Senza calore. Ma non rinuncia al suo stile. Nè da vivo, nè da morto. I vecchi, ancora oggi, giurano che davvero, sulla lapide, ci fosse scritto: "vissi riposando, per non morire stanco".
Solo molti anni dopo, sarà riportato nel territorio natio.  Della tomba e della lapide, non resta che il racconto di qualche cacciatore di baunei. Di quella che fu la casa padronale e le strutture dell'azienda, pochi ruderi, irriconoscibili, da demolire, per farci sopra un  residence. Restano alcune piante esotiche e delle palme altissime. Mi  piace pensare che nelle poche giornate in cui, a santa maria gira un pò di vento, si possa sentire lo stesso suono che ascoltava il conte brizzi (la stessa sensazione che avete, se andate a cercare villa idina, sopra la collina, a ingurtosu).
Dopo tanti anni, inizio a non ricordare bene il finale.  Mi piace ricordare, o almeno immaginare, che a riportare il conte in lombardia,  sia tornata la moglie, che subito dopo la morte del consorte, aveva abbandonato la terra di navarra, assieme a tutti i ricordi.
E mi piace immaginare, che lo abbia fatto per amore. Forse.

martedì 22 novembre 2011

il conte brizzi (uno)

Ci sono posti che sono belli per il panorama. Altri per le storie che si raccontano. Se vi parlano di santa maria navarrese, qualcuno vi racconterà del piu' buon gelato con liquore di fico d'india, del bar panoramico sopra il borgo, pieno di cagliaritani,  oppure della spianatina dal nome esotico, da prendere in mezzo agli ulivi super-secolari (la sera, rigorosamente, per sentire il rumore delle onde sulla spiaggia, se non vi hanno piazzato la musica a tutto volume).
E l'albergo navarra? Bello. E la passeggiata verso tancau? Bella. E l'ulivo "piu' vecchio d'europa" davanti alla chiesetta? Bello. E la pizzeria dove incontro il mio amico celestino? Bella. Anche la farmacia comunale. Bella anche lei.
Però la cosa più bella che vi può capitare, è di entrare in uno dei negozi della piazzetta, stretti tra un bar e l'altro, incastrati tra l'ingresso di un ristorante e la prima bancarella. Magari proprio quello dove la commessa è una giovane signora. Giovane perchè, secondo me, ha più o meno la mia età. E quindi non può che essere g-i-o-v-a-n-e. E se siete veramente fortunati, può capitarvi di trovare anche il marito, che ogni tanto scende dal paese per dare una mano agli affari. Io l'ho incontrato per caso  ("il caso non esiste, guardati kung-fu panda", dice il mio angelo), qualche anno fa, mentre mi godevo la villeggiatura.
Sono entrato assieme a un gruppo di americani ospiti dell'hotel navarra. Volevo vedere che cartoline compravano gli americani, che naturalmente, sono usciti con dozzine di foto di asinelli, rocce dell'asinello, asinelli di sughero, cartoline rigorosamente di sughero......
E' stato allora che, per la prima volta, ho sentito quella storia che spesso, ancora oggi, racconto nei corsi e nei seminari a cui partecipo, quando inizio ad annoiarmi. Purtroppo, non so raccontare barzellette spinte, e allora racconto storie che mi piacciono. 
Quella volta, ho capito subito che avrei sentito una storia di quelle che non dimentichi. Sin da quando ho visto, alla parete, una cornice di simil-legno, con dentro una foto di quelle da mostra etno-folk.  Un gruppo di cacciatori nostrani, dotati di tutto il necessario e in orgoglioso assetto venatorio. Tutti rigorosamente di aspetto ogliastrino, tranne due. Eleganti in maniera così evidente, da cancellare ogni altro elemento di interesse.
"Sono il signor beretta e il signor brizzi, anzi, ...il conte brizzi!". Fu la precisa indicazione del marito della signora giovane. Su chi fosse il "signor beretta", vista la dotazione di mirabolanti armi da fuoco e la totale assenza di salumi, l'intesa fu immediata. Ma il conte brizzi?
La mia domanda fu la parola magica, per il signor matteo chessa, che sembrava aspettasse da decenni, il mio ingresso nel negozio, per poter finalmente raccontare la sua storia prediletta, a qualcuno che ne fosse veramente degno..........

sabato 19 novembre 2011

cinema!

Ci sono cose che i bambini cittadini,  della mia età,  non hanno mai conosciuto.  Una di queste, di sicuro, è il salone parrocchiale;  quello vero, intendo.  Da noi portava il nome del santo, a cui era intitolata la chiesa; anche perchè era stato ricavato proprio dalla chiesa, murando una navata laterale. E il risultato, forse inaspettato persino per chi l'aveva progettato, non era stato malvagio: un lungo salone rettangolare, regolare, con schermo ampio e un sacco di sedie per gli spettatori.
Non vi preoccupate. Non mi sfiora neppure, l'idea di fare riferimento ad altri cinema parrocchiali illustri, del cinema italo-siculo.   Però, non c'è film, visto con il proiettore sedici millimetri di "don giovanni-battista", di cui io non ricordi qualche scena:   ercole, maciste, il cow-boy senza nome (nel senso che.... mica mi ricordo i nomi di di tutti quei rapinatori e banditi contro sceriffi!).    Ricordo persino le pause, interminabili, per allora. Quella tra il primo e il secondo tempo e, soprattutto, quelle dovute a incidenti tecnici, come la rottura della pellicola o l'interruzione dell'energia elettrica.       Ricordo ancora l'emozione per l'arrivo del secondo proiettore, con la lente per le proiezioni in  cinemascope.
E ora che ci penso, ricordo perfettamente il rumore del proiettore, che copriva l'audio del film, quando ti sedevi in ultima fila, proprio sotto la postazione.   Che non era una cabina,  ma semplicemente un soppalco sopra l'ingresso. E l'accesso era tramite una scala a pioli, che una volta ritirata, impediva l'accesso ai non addetti, senza bisogno di cartelli di divieto.
Mi fermo qui, anche perchè, tutto questo mi è venuto in mente, guardando 5 minuti dello zecchino d'oro. Perchè il ricordo piu' vivido che ho del salone parrocchiale, non è legato a un film, ma alla mia partecipazione, come "giurato", a una fantasmagorica edizione paesana, di un concorso canoro per bambini, con tanto di "mago zurlì" in carne e ossa, impersonato da un giovane maestro indigeno, con perfetta riproduzione del costume in calzamaglia.   E soprattutto, ricordo perfettamente, la cocente delusione infantile, per la contestazione sulla mia capacità di giudizio, circa la qualità delle canzoni in gara.  Insomma, maria de filippi e sanremo, non hanno inventato niente. 

giovedì 17 novembre 2011

fantasmi

Credo che capiti, piu' o meno spesso, di farsi domande più o meno utili, più o meno stupide, più o meno necessarie. Credo che in mezzo a queste domande (che si accumulano come i vecchi giochi dei figli, nelle camerette-gulag, sotto forma di stoccaggio temporaneo), io stesso mi sia chiesto come potessero essere i fantasmi; sotto che forma potessero apparirmi e semmai potessi riconoscerli, individuarli da quale caratteristica; insomma: che aspetto  avessero qualora li avessi incontrati.
Tutti questi congiuntivi si sono rivelati del tutto inutili. Quando ho incontrato un fantasma, non ho avuto dubbi. L'ho visto in questa sera di mezzo autunno, non troppo fredda, non troppo nebbiosa, non troppo triste. L'ho visto mentre cercavo di fare la solita manovra con la macchina; una manovra stupida che faccio sempre e che serve a risparmiare, si e no, 4 metri di strada, sotto gli occhi vigili di mio padre che ancora non si fida del mio modo di fare le manovre in retromarcia, controllando tutto il traffico presente e futuro.
L'ho visto dall'angolo del finestrino dietro il montante. Grigio come i muri mai finiti della casa all'angolo; con l'ombra arancione dei lampioni a risparmio energetico. Prima di vedere lui, ho visto quella cosa tozza che galleggiava sopra di lui: ho riconosciuto il vecchio colbacco che aveva portato da torino, per le giornate di freddo, che poi non c'erano mai state. Quel colbacco, non poteva essere che lui. E sotto quel colbacco ondeggiante,  c'era il fantasma.  Il fantasma di cio' che era stato. Il fantasma di cio' che è restato. I vestiti vuoti,  che un tempo erano stati riempiti da un simpatico ciccione. Scarpe invisibili che scivolano sull'asfalto senza lasciare traccia.
Credi di vederlo muovere verso di te, ma sembra restare sempre alla medesima distanza. Cammina verso di te, ma sembra che non si avvicini.
E poi, in un istante, non sei piu' fermo; non sei più sospeso nel tempo che ti ricorda ciò che sei stato. Finisci furiosamente la manovra, ti rimetti nella direzione opposta e riparti guardando dallo specchietto. Ed è in quel preciso momento che capisci che stai davvero fuggendo, non per la paura di parlare con un fantasma, ma per la tenerezza che potresti provare per quell'ombra. Per la paura fottuta che tu possa farlo soffrire, nell'affiorare dei ricordi di cio' che era stato e del pensiero di cio' che è restato. Vai via, sicuro che non avrà pensato che dentro quella macchina ci sia stato proprio tu.  
Anzi! Sicuro che lui, ....neppure l'abbia vista,  quella macchina del colore della nebbia.

martedì 15 novembre 2011

adelina e guendalina

Ci sono giorni un po' speciali, senza necessariamente che siano del tutto belli...... Questo di oggi, è uno di quelli. E allora, tanto vale approfittarne, per iniziare qualcosa rimandato da tempo. Il titolo, lo ritrovero' piu' avanti quando, ne sono certo, inseriro' come prima teoria, quella di adelina e guendalina; le due oche degli aristogatti di disney, mi sono venute subito in mente quest'estate, per attribuire l'idea che ho avuto, nella spiaggia di pazzona,  nel guardare delle mamme bellissime, con figliolette altrettanto bellissime (dove "bellissime" non ha alcun riscontro esteriore, ma come, per le foto in bianco e nero, si guardano gli occhi e tutto il resto non esiste).
Prometto che raccontero' questa prima teoria, che mi è piaciuto usare per dare titolo a questi appunti, appena saro' dell'umore (beh...si! l'unica cosa di cui sono sicuro, è proprio che buttero' giu' queste righe, sempre seguendo il gusto e il piacere di farlo, per evitare di perdere per strada l'idea che magari, balena in un momento, senza rischiare di lasciarne qualche pezzo per strada.
Sospendo qui.
Non prima di avere ringraziato l'angelo che cambia le vite di tutti. Di chi se ne accorge, e di chi non se ne accorge. Anche nelle giornate in cui le nuvole sembrano piu' grigie del solito.